WEEKEND TRA RIFUGI E BIVACCHI IN VAL D'AOSTA: SULLE ALTE VIE INSEGUENDO SOGNI E STAMBECCHI
Giorno | Partenza - Arrivo | Distanza (km) | Dislivello positivo (m) | Dislivello negativo (m) |
---|---|---|---|---|
1 | Torgnon - Bivacco Reboulaz | 14,57 | 1.140 | 451 |
2 | Bivacco Reboulaz - Rifugio Perucca | 19,1 | 1.526 | 1.209 |
3 | Rifugio Perucca - Torgnon | 15,66 | 360 | 1.366 |
TOTALE | 49,33 | 3026 | 3026 |
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“Adesso?? Ma siete matti? Sono rientrata al lavoro da 5 giorni! È impossibile!"
Però neanche settimana prossima va bene, ricomincia il corso, quella dopo le scuole, sabato compreso anche per Carlo ormai, poi arriva l’autunno, il freddo, la neve, si dovrà aspettare la prossima stagione, gli anni passano, chissà se ce la sentiremo ancora.. Uno scenario da apocalisse, della serie o adesso o mai più. “Ragazzi, la mamma non può venire. Andiamo noi.”
Mi faccio coraggio: mando un messaggio. “OK no probl”. Ci sono persone che possono cambiarti la vita. Chissà se si rendono conto della differenza che fanno.
Cominciano accurati preparativi: arrivati a Torgnon, trascorriamo il sabato a riempire gli zaini, ridurre tutto al minimo, pesare, sfoltire, ripesare e risfoltire, una maglietta addosso e una di cambio, un solo pile, la tuta è superflua, ma lo zero termico è a 2500m, cappellino e piumino ci vogliono, il sacco letto, la mantella nel caso le previsioni sbagliassero, scodella e cucchiaio, riempiamo, ripesiamo. Io e Daniele controlliamo e ricontrolliamo maniacalmente di avere il coltellino, il telo termico, la frontale, l’accendino, la candela, la carta igienica, la borraccia.. I ragazzi sono decisamente più disinvolti e abituati a preparare zaini e ridono delle nostre incertezze.
Lasciamo la spesa per ultima: tesi e concentrati, calcoliamo
pranzi, cene e colazioni, razionando con precisione scientifica. Sei fette di
pancarré e 50 g di mocetta a testa, una monodose di marmellata per la
colazione, 4 barrette proteiche, potassio e magnesio, tavolette masticabili di
carboidrati, un po’ di cioccolato, bustine di tè, zucchero e Nescafè e (unico
sfizio) una e una sola crostatina ciascuno.
I nonni sono i nostri supporter in
questa impresa che stiamo vivendo come se stessimo andando a scalare l'Everest:
ci offrono un’abbondante e nutriente cena sabato sera e domenica mattina ci
accompagnano in macchina fino al bar “La Montanara” per evitarci quel pezzo
noioso di strada.
Siamo pieni di energia e la salita al bivacco Tzan (dotato di “WC”! ..dietro un sasso) è rapida e spensierata.



Saliamo alla finestra
Tzan, ci lasciamo la Valtournenche alle spalle e siamo già in Val San
Barthélemy. Alle quattro del pomeriggio arriviamo al Bivacco Reboulaz in
splendida posizione nella conca ai piedi della Becca del Luseney con un tempo
eccezionale. Trovarci da soli tra montagne, mucche e ruscelli a preparare il
tè, cercare bastoncini ed erba secca per accendere la stufa, sistemare sacchi
letto e coperte, riempie di una felicità profonda.

Il Reboulaz
fortunatamente è spazioso e ben attrezzato con bombola del gas e
qualche pentola: con pazienti turni al fornelletto la nostra pasta e fagioli in busta knorr è
pronta. Quattro fette di mocetta a pranzo mi hanno lasciato un buco allo stomaco
che la pasta e fagioli non riempie. Non resisto e addento la mia crostatina,
subendo i rimproveri severi di Carlo e Nadia: “No! Mamma! Era per la
colazione!!” ma ormai l’ho mandata giù, domani è un altro giorno, adesso ho
fame. La fontana appena fuori dal bivacco è preziosa e ambitissima (per quanto
gelida): dissetarsi, lavarsi e pulire scodelle e pentolino sono un gioco da
ragazzi per oggi.
Stanchezza generalizzata e assenza di luce e corrente, fanno
sì che alle 21:30 siamo a letto. Abbiamo conquistato posti sul piano alto
vicino a una finestrella e dormiamo uno di fianco all’altro di sasso fino alle
prime luci del mattino, nonostante la camerata sia ben stipata di gente. “A un
certo punto mi sono svegliata e c’era un silenzio assoluto! Mi sembrava
impossibile che con 21 persone in una stanza non si sentisse nessuno russare o
bisbigliare!” si stupisce Nadia.
Alle 6:30 c'è già un bel fermento: mettiamo su l’acqua per il tè (nel quale io purtroppo non ho niente da pucciare, così imparo a fare l’indisciplinata in montagna) e riempiamo le borracce fino all’orlo, consapevoli che non troveremo altre fontane sul nostro percorso.
Salutiamo i compagni di bivacco, che
proseguono tutti lungo l’alta via n.1 verso il Cuney, mentre noi saliamo al Col
di Livourneaz per avviarci verso l’alta via n.3. Passiamo il colle, abbandonando la
Val San Barthélemy per svalicare nella bellissima Valpelline.
Per l’intera
giornata in questa valle selvaggia non incontreremo nessuno, tranne stambecchi
e camosci. Scendiamo dalle rocce attraverso i boschi fino alla diga di
Place-Moulin, che costeggiamo arrivando al bivio per il rifugio Prarayer.
Per
non allungare la strada non proseguiamo verso il rifugio (rinunciando purtroppo
con questo a riempire le borracce ormai mezze vuote), ma deviamo a destra per
seguire un infinito e lentissimo sentiero che si addentra nella Comba di
Valcournera. Più avanti ci sembrerà di intravedere una traccia, che avrebbe forse reso possibile tenersi alti e
raggiungere questa valle senza scendere fino alla diga, per poi attraversare il
torrente a monte dove si fa più piccolo, risparmiando 250 m di dislivello. Pazienza, abbiamo fatto qualche passo in più. Arrivati quasi al termine della Comba, prendiamo un esposto e ripidissimo
sentiero sulla sinistra, attrezzato in qualche punto con corde fisse, che ci
permette di raggiungere il Col di Valcournera. Le ultime ore di salita per noi
sono sfinenti: la stanchezza dei 1000 m di dislivello di ieri si aggiunge a
quella dei 1500 m di oggi; 10 kg di zaino in spalla e 3000 m di quota
accelerano il fiato e rallentano il passo.
La via sale tra sfasciumi e detriti,
il sole continua a splendere e il canalone non offre un minimo di ombra. Siamo
inariditi con la gola secca che comincia a fare male. Uno scolo sotto i sassi
fuoriesce per scorrere sulla roccia: avviciniamo le borracce alla pietra,
felicissimi di poterle riempire con acqua e terra. Rotto il ghiaccio con il
primo sorso offerto dalla natura, perdiamo ogni inibizione e da quel momento in
poi ci dissetiamo senza esitazione a ogni torrente, cascata e ruscello che
troviamo sul nostro cammino.
Risolto il problema della sete, ritorna quello
della fame. Una fetta di pancarré e un pezzo di formaggio sono stati il
pranzo. Cerchiamo energia nelle tavolette di carboidrati, rassicurati dal fatto
che all’arrivo al rifugio avremo diritto al primo (e unico) pasto vero del
trekking. La croce del colle sembra irraggiungibile eppure a un certo punto ci
siamo.
Ci sediamo. Ci fotografiamo. Raccogliamo le ultime forze, salutiamo la
Valpelline e rientriamo in Valtournenche, affrontando la discesa con altre
corde fisse e uno zig zag finale verso lo splendido rifugio Perucca.
È in una
posizione idilliaca, che domina la valle, circondato da laghi e ghiacciai. Ha
addirittura una toilette, dislocata, a qualche passo dal rifugio, ma una
toilette vera in muratura, con lavello e WC. Approfittiamo di questa rarità per
darci l’unica sciacquata seria della gita e alle 18:00 ci buttiamo a letto in
attesa della cena. Abbiamo esaurito le forze. Alle 19:30 gustiamo profondamente
ogni boccone di minestra, di bollito con salsa verde fatta in casa e di crema
catalana, mangiando insieme ai gestori e a una coppia di piemontesi arrivati
dalla ferrata che sale da Cervinia. Non compare nessun altro al rifugio e alle
21:00, dopo aver visto sorgere una tonda luna rossa, ammirato ai nostri piedi
la diga di Cignana illuminata, sempre con maglia termica e calzamaglia (siamo a
2900 m) ci infiliamo nei sacchi letto della camerata e dormiamo profondamente.
Ci svegliamo di nuovo con un cielo azzurro (pare siano stati i tre giorni di
tempo migliore di tutta l’estate!) e di primo mattino andando verso il bagno
veniamo accolti da alcuni cuccioli di stambecco che brucano l’erba a pochi
passi da noi. Stiamo vivendo il nostro sogno.
È l’ultima giornata di trekking e ci
aspetta prevalentemente discesa.
Traversiamo lungo la desolata ma affascinante pietraia, con parecchi sali-scendi non agevolissimi e soprattutto non segnati, restando sostanzialmente in quota fino a risalire i nevai nell’ultimo tratto verso il Col de Fort. Due gipeti ci sorvolano aggraziati.


Da lì in un attimo si
raggiunge il bivacco Rivolta dove finiamo le razionate scorte di viveri come da
programma.
Anche il Rivolta ha una “toilette”: tre pareti di legno, che nascondono un buco da mirare in piedi in equilibrio su un’asse. “Questo bagno è molto panoramico e arieggiato! Non puzza neanche” commenta Carlo. In effetti, mancando la porta, si respira fresca brezza d’altura con vista sul Cervino! Niente male per una toilette.
Anche il Rivolta ha una “toilette”: tre pareti di legno, che nascondono un buco da mirare in piedi in equilibrio su un’asse. “Questo bagno è molto panoramico e arieggiato! Non puzza neanche” commenta Carlo. In effetti, mancando la porta, si respira fresca brezza d’altura con vista sul Cervino! Niente male per una toilette.

Gli stambecchi, che ci circondavano sul ghiaione, ci osservano anche dalla base della cresta Rei e dal colle. Scendendo lentamente verso valle non ne incontreremo più. Passate le tre baite e ricollegati alla sterrata che porta al lago Gorzà, ci rinfreschiamo nel torrente prima di tornare inevitabilmente nel mondo civile, dove i nonni ci aspettano per farci recuperare qualche caloria al Ristoro “Des Troncs” dopo 49 km e 3026 m di dislivello.
In serata siamo a casa a Milano: un rubinetto con acqua calda, al posto di un lago alpino; materasso su doghe, invece di una tavola di legno con coperte di lana e sacchi letto sintetici che fanno scintille nella notte; niente bustine di potassio e magnesio, ma pizza e birra a volontà. Non seguiamo più i ritmi del sole e della luna; dimentichiamo frontali e candele, rimpiazzate da luci e interruttori.
Ho nostalgia profonda
dell’aria di montagna. Niente più fame, sete o stanchezza, ma solo l'assoluta certezza che questi giorni saranno uno di ricordi più belli della mia
vita.
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