IL SOGNO DI CAPO NORD
DIARIO DI VIAGGIO IN CAMPER ATTRAVERSO LA NORVEGIA ALLA SCOPERTA DEL GRANDE NORD:
PIU' DI 10.000km DA MILANO A CAPO NORD PASSANDO DA GERMANIA, DANIMARCA E SVEZIA, TRA RENNE, FIORDI E TUNDRA.
29 giorni
Milano, venerdì
22 luglio, h 17:30, con il camper già carico dalla domenica precedente, provviste,
giacche a vento e qualche bottiglia di vino, si parte per il Grande Nord. Il
sole a mezzanotte si concede a Nordkapp fino al 29 luglio.
Corriamo attraverso Svizzera,
Austria, Germania, Danimarca e Svezia per arrivare in tempo all’appuntamento.
La luce infinita, l’entusiasmo alle stelle e i cervi ai margini della strada,
azzerano la fatica.
Svoltiamo in Finlandia per scoprire le opere
architettoniche di Alvar Aalto a Rovaniemi e fare un tuffo nel fiume Kemijoki al
66° parallelo: solo l’idea ci elettrizza! La tappa a Napapiri è immancabile: è
il nostro anniversario di matrimonio e abbiamo la straordinaria occasione di
chiedere proprio oggi un (altro??) regalo a Babbo Natale in persona. Salutato il
vecchio barbuto, sfrecciamo oltre il circolo polare artico, dormiamo immersi in
un bosco sconfinato in riva al lago di Inari e ci appostiamo in una radura a
guardare un branco di renne.

Siamo a distanza galattica dalla frenesia metropolitana.
Varchiamo presto il confine con la Norvegia: nessuno riusciva a dormire
stamattina, la luce è ormai eterna e mancano solo 382 km a Nordkapp. All’accampamento
Sami di Karasjohka (Sapmi Park) ammiriamo questi straordinari uomini che sanno
appoggiare l’orecchio a terra per sentire il battito della Grande Renna dalla
quale tutto è nato, misurano lo spazio con la zampa di un cane e non conoscono l’incubo
dell’orologio. Proviamo (senza troppo successo) ad imitarli nel lancio del lazo
e levighiamo i pali accatastatati che serviranno a montare le tende invernali,
sognando di vivere di nomadismo e di ideali. Per 4 indimenticabili settimane il
sogno diventa realtà.
Arriviamo in serata a Nordkapp: tra le nuvole una
striscia arancione brillante non scompare mai. Ci fotografiamo ad ogni
estremità del promontorio, da ogni prospettiva, in ogni angolo del mappamondo,
combattendo contro un vento accanito. I nostri corpi rifiutano di sentirsi affaticati,
ingannati dal chiarore surreale, fino a quando alle 2 di notte inevitabilmente crolliamo.
Il mattino seguente pioggia e stanchezza accumulata ci tengono a letto più del
solito. Un giro esplorativo dell’interessante centro visitatori e qualche
acquisto (per i quali riusciremo facilmente ad avere il rimborso tasse
all’ufficio “tax refund” poco prima della dogana in autostrada tra Norvegia e
Svezia) ed è già ora di pranzo.
Alle 15:00 esce un sole strepitoso e inatteso. Impossibile farsi sfuggire una simile occasione: zaini in spalla, acqua e panini e partiamo per la passeggiata al Knivskjelloden – il vero capo nord.
“Tanto non
c’è rischio di farsi sorprendere dal buio”.
18 km nella tundra, sconfinate
distese di muschi e licheni a perdita d’occhio, renne tutto intorno a noi e
davanti l’immensità del mare. Ci attardiamo di fronte alla meraviglia della
natura e la nebbia all’improvviso ci circonda. Riusciamo a tornare al camper
solo grazie al fantascientifico “track back” dell’inseparabile orologio GPS
(anche la tecnologia ha le sue meraviglie). “Di qua! Di qua!” diceva Carlo,
con cieca fiducia nel suo piccolo navigatore, mentre nessuno gli credeva.
Essendo ormai le 22:00 e data la pessima visibilità, restiamo a dormire a lato
strada esattamente dove avevamo parcheggiato. Al mattino troviamo due ragazzi
con una tendina, montata sull’asfalto, tenuta a terra con dei sassi, appoggiata
al nostro camper per proteggersi parzialmente dal vento .. beata incosciente gioventù. Ci dispiace riprendere la strada privandoli della
protezione della fiancata del nostro mezzo, ma l’immensità circostante invita
al vagabondaggio e vogliamo proseguire. Facciamo un rapido camper service di
passaggio al Nordkapp Camping (50 Nok, cifra secondo noi onestissima per carico
e scarico completo di serbatoi e wc) e ripartiamo senza pensieri.
Ci fermiamo a
dormire lungo lo Jokelfjorden e il mattino seguente abbiamo di nuovo gli zaini
in spalla per costeggiare il fiordo e arrivare a vedere il ghiacciaio dello
Oksfjordjokelen che scivola nel mare. La vista dei ghiacciai, questa volta
quelli del Lyngsalpene, ci accompagna anche il giorno successivo mentre avanziamo
verso ovest.
Passando da Bardu ci fermiamo al Polar Park giusto in tempo per
seguire il giro del guardiaparco che alle 13:00 porta da mangiare ai carnivori, i quali
altrimenti – non essendo in gabbia, ma semi-liberi dietro recinzioni enormi
dove la vegetazione di boschi e betulle è tanto fitta all’interno quanto lo è
all’esterno – non sarebbero affatto facili da vedere. Lupacchiotti giocano a
rincorrersi e morsicarsi mentre il lupo alfa da un’altura controlla a debita
distanza; una coppia di orsi gemelli, dei quali uno albino, ha “adottato” un
lupo rimasto escluso dal branco e condividono pacificamente cibo e spazi; una
timidissima volpe artica – molto più timorosa e meno aggressiva della cugina
volpe rossa e anche per questo in serio pericolo di estinzione – si avvicina
con commovente titubanza e un pelo estivo ancora spelacchiato.
Perdiamo il
conto dei km fatti mentre girovaghiamo tra i boschi, ora da soli, alla ricerca
degli erbivori: renne, renne, renne, alci, buoi muschiati e poi renne, renne,
renne, libere ed elegantissime.
La notte trascorre silenziosa nell’area camper
attrezzata presso il parco e, ripresa la strada, siamo presto sulle Vesteralen.
Abbiamo letto di un campeggio a Stave in riva al mare, con piscine calde
all’aperto, e, dopo tanto nomadismo, qualche lusso, acqua corrente abbondante e
una lavatrice sembrano dei miraggi.
Parcheggiamo su un prato verdissimo, alle
10 di sera ceniamo all’aperto con gli occhiali da sole e alle 23:20 godiamo del
tramonto più bello che abbiamo mai visto, passeggiando sulla sabbia bianca di
una lunghissima spiaggia caraibica.
Al mattino ci incamminiamo lungo il “coastal
trail” per raggiungere Hoyvika, altra insenatura dall’aspetto esotico
raggiungibile solo a piedi, di una bellezza indescrivibile.
Il sole ci
accompagna tutto il giorno regalandoci scorci verdi e azzurri, tra promontori,
vette e acqua.
Quando scende la nebbia, enfatizzando il privilegio del tramonto
della sera precedente, andiamo a rilassarci nella nostra personale “hot tub”, immersi
nel tepore dei 39°C dell’idromassaggio e infagottati nella coperta naturale di
foschia che ci fa sentire unici al mondo.
Al risveglio decidiamo di fare un
salto nella civiltà e ci dirigiamo ad Andenes, dove ci vestiamo da astronauti
per prendere parte ad una missione virtuale sulla navicella spaziale Aurora
nell’Andoya Space Center, affascinante centro di ricerca sull’aurora boreale.
Ricevuto il diploma di partecipazione alla prestigiosa spedizione, soddisfatti
dell’impresa, passiamo il pomeriggio a godere dei raggi di sole che continuano
incredibilmente ad accompagnarci.
Saltiamo, camminiamo, ci sdraiamo sulla
sabbia bianca questa volta della spiaggia di Bleik; davanti a noi lo scoglio a
punta sul quale nidificano le Pulcinella di Mare (che proviamo a vedere con il
binocolo, ma senza riuscirci). Il mare per quanto freddo è di un azzurro
talmente invitante che piano piano scarpe, calze, pantaloni, magliette
finiscono a terra, mentre mutande e canottiere entrano inevitabilmente in acqua
insieme a Carlo e Nadia.
L’arrivo alle Lofoten ci mostra un susseguirsi di fiordi,
golfi e baie incantevoli, incorniciate da cime più elevate e montuose. Partendo
dal paesotto di Svolvaer saliamo lungo un divertente sentiero inizialmente tra
i boschi, poi con un alternarsi di prati sempre più scoscesi, fino alle rocce
della cima del monte Floya.
Siamo sulla vetta del mondo, intorno a noi mare,
isolotti e montagne, in basso le casette rosse e le barche dei pescatori.
La
tentazione di perderci tra le escursioni è fortissima, ma anche quella di
curiosare tra i paesini, veri rari gioielli, e così comincia una giornata con
macchina fotografica al collo tra Nusfjord, Reine, Å... a caccia delle più
belle inquadrature di tetti rossi, porticcioli colorati, stoccafissi ad
essiccare e rorbuer su palafitte che si specchiano in acqua. Verso sera la
spiaggia di Ytresand sulla Moskenes è l’ennesima visione da sogno in questa
giornata a zonzo tra le isole.
Passiamo la notte al passo del Hagskaret (area
attrezzata) in modo da partire di primo mattino per il monte Justadtinden, uno
dei più alti della Vestvagoy. Due aquile volteggiano a lungo sopra le nostre
teste mentre raggiungiamo la vetta, appena in tempo per ammirare il panorama
prima che tutto sparisca avvolto tra le nuvole.
E’ ora di lasciare le Lofoten:
le ammiriamo sempre più da lontano mentre il traghetto Lodingen – Bognes ci
riporta sulla terraferma. Arrivati al ponte Saltstraum aspettiamo le 15:40,
orario indicato sul sito internet come picco odierno di massima potenza dei Maelstrom
di Saltstraumen, enormi gorghi che si generano per lo scontro tra correnti in
entrata ed in uscita dal fiordo. Eravamo consapevoli che il fenomeno rispetta
con puntualità svizzera l’orario giornaliero ricalcolato quotidianamente in
base alla marea, ma la precisione e la potenza dei gorghi è tale da stupirci
profondamente nonostante fossimo preparati allo spettacolo.
Percorrere la
strada turistica costiera RV17 si rivela un misto tra andare sulle montagne
russe e volare: ponti sospesi, tunnel sotterranei, curve che sfiorano il
margine dell’acqua e all’improvviso un altro ghiacciaio che scivola in mare (la
lingua occidentale del ghiacciaio dello Svartisen). Il clima però è proprio cupo
e non osiamo avventurarci alla gita in barca, che permetterebbe di ammirarlo
più da vicino. Incerti se rinunciare definitivamente o meno all’escursione,
temporeggiamo, dormendo lungo l’Holansfjorden nell'area pic nic panoramica
adiacente all’imbarco del battello (con camper service).
Il giorno successivo,
mentre nella quiete sonnolenta del primo mattino un ghiottone ci attraversa la strada, decidiamo di fare un tentativo dal
versante orientale. Aggiriamo il ghiacciaio, facciamo il bis di avvistamenti
inconsueti scorgendo una volpe (che giornata!) e giungiamo a Mo i Rana, dove,
dopo una notte in riva al lago Svartisvatnet a nord del paese, il cielo si
apre e il sole torna ad accendere i colori.
Ci mettiamo in marcia, felici della
perseveranza: con un tratto in barca e un tratto a piedi (3 facili km) tra
panorami lunari, arriviamo finalmente a toccare la lingua glaciale dell'Austerdalsisen;
osserviamo gli spaventosi crepacci e vediamo un paio di seracchi staccarsi con
tonfi inquietanti.
Percorriamo qualche altro km di E6, lungo la quale ammiriamo
il tripudio di acqua e natura che prende vita in modo dirompente nella cascata
di Laksforsen, prediletta da salmoni e pescatori. Ci ributtiamo quindi verso la
costa per ritrovare la RV17, incredibile striscetta di asfalto che anche qui scorre,
sorvola e scivola tra cielo, terra e acqua, interrompendosi a singhiozzo
a ridosso dell’imbarco di un traghetto per ripartire un tuffo più in là.
A
Bronnoysund optiamo per un campeggio: lavatrice e asciugatrice gratuita, un
laghetto idilliaco, tanto prato e il monte Torghatten che ci abbraccia alle
spalle, ci invogliano a una sosta carica di comfort. Giriamo attorno al monte, scendiamo
nel buco formato dalla freccia di un antico centauro e saliamo in cima al
Torghatten con l’arcipelago di Bronnoysund ai nostri piedi.
Troppa bellezza,
toglie il fiato, fa sentire privilegiati e insignificanti al tempo stesso. La
serata in canoa (gratuite) nel laghetto privato del Torghatten camping, con
l’Hurtigruten (il battello postale dei fiordi) che ci passa accanto, completano l’immagine da cartolina che ci
resterà addosso a lungo dopo aver lasciato questo luogo.
Arriviamo a Namsos dove
la tappa di trasferimento si trasforma in una divertente pedalata di 26 km
lungo la ferrovia dismessa tra Namsos e Skage con i trolley noleggiati presso
il campeggio stesso. Ci filmiamo sulle curve paraboliche mentre facciamo il
rumore del treno salutando i passanti. Alla consegna dei trolley ci avevano raccomandato
di dare la precedenza a chi va in discesa. Un mono-binario a due sensi di
marcia? Può funzionare solo in un paese dove il rispetto del prossimo supera il
rispetto per se stessi. Comunque, oltre a molto rispettoso, questo paese è
anche molto poco popolato e non incontriamo nessuno né in un senso di marcia né
nell’altro.
Di nuovo in viaggio, attraversando all’imbrunire il Dovrefjell
Nasjonalpark, scorgiamo un’alce nella radura. L’immagine scadente della foto
scattata al volo con il cellulare non è minimamente proporzionata al ricordo prezioso
di questa visione. Per bilanciare fauna, tundra e spazi immensi che ci hanno
riempito gli occhi, il cuore e le giornate fino ad ora, decidiamo di dedicare
gli ultimi due giorni ad Oslo. In questa zona più urbanizzata non troviamo gli
appartati anfratti nei quali ci siamo tanto volentieri accampati nel grande
nord e ci dirigiamo al Bogstad Camping, ordinato e tranquillo, immerso nel
bosco.
In una domenica di sole pieno, con il termometro che sfiora i 26°, la
penisola di Bygdoy è invasa da Osloviti rilassati. Scopriamo il talento di
Gustav Vigeland passeggiando tra le sue 212 statue di bronzo e di granito nel
Vigelandsparken, facciamo il pic nic nel prato come i norvegesi e finiamo per
rinfrescarci alla Paradisbukta Beach decisamente in tanta buona compagnia. Il
sole splende più che mai anche il giorno successivo e ci avviamo per una
sgambettata (di 26 km – nulla sfugge al fedele GPS né al figlio appassionato al
mappaggio delle nostre attività) tra l’ultra-moderno e l’antico, che coesistono
brillantemente in questa capitale europea.
Camminiamo sui tetti obliqui del
Teatro dell’Opera, tra i ristoranti e il lungomare di Aker Brygge e per le vie
del completamente riqualificato quartiere Tjuvholmen, perdendoci in mezzo a
futuristici palazzi di vetro, terrazze luminose sul mare e l’Astrup Fearnley
Museum progettato da Renzo Piano.
Contempliamo, tra ammirazione e invidia,
adulti e bambini che giocano, chiacchierano e si rilassano nella spiaggetta
cittadina, mentre un paio di ragazzi si allenano come fossero in piscina
facendo “vasche” avanti e indietro nel fiordo tra il molo e il porto. Mi
sentirei di vivere qui. E poi il Palazzo Reale, la Cattedrale, la medievale
Arkershus fortress, fino alle casette settecentesche di legno della quietissima
città vecchia.
Un salto finale al trampolino di Holmenkollen ci permette di impressionarci
guardando giù dalla postazione di partenza da dove si lanciano a 130 km/h i
coraggiosi sciatori; sorridiamo dei primordiali sci di legno dei vichinghi, esposti
nel museo dello sci, e gareggiamo a chi resiste di più in equilibrio sullo
snowboard “a molla” messo a disposizione dei turisti. Passiamo la nostra ultima
notte norvegese ai piedi del trampolino, che appena cala la notte viene
illuminato creando un’atmosfera magica.
Siamo ormai inesorabilmente diretti a
sud, ma passato il ponte sull’Oresund il clima è talmente bello, il cielo di un
irresistibile azzurro e il nostro primo amore nordico (la Danimarca) così a
portata di mano, che deviamo verso l’Isola di Mon, dove ci sistemiamo nello
stesso campeggio dell’agosto 2012 (Ulvshale Camping) per passare la giornata
tra dune, spiaggia e bagnasciuga.
Si corre attraverso la Germania per poterci concedere
ancora una tappa svizzera a Saint Moritz per 4 ore di terme alla Spa di
Pontresina, mentre i figli sguazzano in piscina. Sauna finlandese, bagno turco,
sauna bio, idromassaggio e percorso kneipp lavano via velocemente la stanchezza
dei 10.061 km percorsi e ci danno la ricarica necessaria per tornare ad
affrontare energicamente la quotidianità. La prima sera a Milano Carlo tenta di
mettere in bolla la casa, mentre Nadia dal suo letto ci grida: “Dove sieteeee?
Non vi vedoooo. Non vi sentoooo”. Io e Daniele in fondo un po’ apprezziamo
la spaziosità del letto e l’acqua copiosa che scorre nella doccia, ma non
osiamo dirlo per non spezzare la magia degli aspiranti nomadi.
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