DIARIO DI VIAGGIO IN CAMPER NEL MONDO INCANTATO DELLE DOLOMITI
2.100 km
22 giorni
Capodanno nelle Dolomiti, settimana bianca nelle Dolomiti, e come si avvicina l’estate ci viene voglia di ..Dolomiti! Evidentemente non esiste solo il mal d’Africa. Leggiamo l’ultimo numero di Meridiani Montagne dedicato alle Dolomiti, il nonno ci regala valanghe di libri sulle Dolomiti e trovo in biblioteca la guida Lonely Planet - Dolomiti. In preda all’entusiasmo carichiamo tutto l’immaginabile nel gavone.
Siamo
pronti!
- la folla, “..perché guardate che nelle Dolomiti a ferragosto non saremo soli come sui fiordi norvegesi”. Nadia trova su internet foto agghiaccianti di gente in coda sui sentieri attrezzati; cala il silenzio. “Ci sveglieremo presto.."
- e il meteo. Le previsioni danno pioggia e temporali a oltranza. “Dai, si sa che sbagliano sempre”. “Peggio del Ben Nevis non può essere”. “Al limite ci spostiamo in Slovenia, o in Austria o in Svizzera”. Giusto, niente panico. Si parte!
Dietro suggerimento di una cugina, la prima tappa è a Zoldo Alto: area sosta Palafavera, comoda, ben attrezzata e molto silenziosa, in posizione strategica, tra il Civetta e il Pelmo.
ll
meteo regge: i temporali arrivano solo verso sera. È il momento buono per una
ferrata.
“Ragazzi,
non vogliamo stare in coda. Sveglia alle 6:00”
“L’avvicinamento
è lungo. Meglio le 5:00?”
“Per
la Alleghesi partono anche gli escursionisti che dormono al Coldai. Noi, da Palafavera, abbiamo un’ora e mezza di cammino in più. Dobbiamo
essere al Coldai all’alba per poterli evitare.”
“Sveglia
alle 4:00! Aggiudicato! Tutti a letto!”
Abbiamo un problema serio con gli esseri umani, ma per fortuna i figli non ce lo fanno pesare:
“Va bene, così quando ricomincerà la scuola non faremo fatica ad alzarci”.
Alle 4:45, già vestiti e colazionati, abbiamo le frontali in testa e gli zaini in spalla.
Arriviamo effettivamente al Coldai in tempo per vedere il sole sorgere dietro al Monte Pelmo: la parete maestosa del Civetta davanti a noi, la sagoma imponente del Pelmo alle nostre spalle.
Raggiungiamo lo spartanissimo rifugio Torrani e da lì scendiamo per la via normale, attrezzata, di nuovo al Coldai e a Palafavera sotto qualche goccia, ma niente fulmini.
Dopo
una solitaria notte al Passo del San Pellegrino, ci spostiamo per rifornimenti
in un’area sosta a Moena, dove scopriamo piste ciclabili da sogno e impianti di
risalita sui quali caricare comodamente le bici.
Saliamo in ovovia al Colle Feudo per lanciarci lungo un sorprendente percorso tra i boschi, su sentieri sassosi, erbosi, ora ripidi, ora pianeggianti, con qualche salita (600m) e tantissima discesa mozzafiato (1700 favolosi metri di dislivello tutti da volare!).


Ci troviamo con il Catinaccio a sinistra e le guglie del Latemar a destra, tra prati verdissimi, (purtroppo anche ampie zone devastate dalla tempesta) e all’improvviso di fronte al Lago di Carezza.
Dopo il giro completo del Latemar, ci ricolleghiamo alla ciclabile di
fondovalle per proseguire fino a Canazei, passando da Pozza di Fassa, dove
entriamo a curiosare nell’ufficio delle Guide Alpine.
Saliamo in ovovia al Colle Feudo per lanciarci lungo un sorprendente percorso tra i boschi, su sentieri sassosi, erbosi, ora ripidi, ora pianeggianti, con qualche salita (600m) e tantissima discesa mozzafiato (1700 favolosi metri di dislivello tutti da volare!).
Ci troviamo con il Catinaccio a sinistra e le guglie del Latemar a destra, tra prati verdissimi, (purtroppo anche ampie zone devastate dalla tempesta) e all’improvviso di fronte al Lago di Carezza.
Nasce
un’idea. In fondo stavamo cercando un regalo speciale per i 18 anni di Nadia.
L’idea prende forma. A Nadia farebbe piacere andare con Carlo. L’idea prende
vita.
Il
16 agosto alle 7:30 del mattino siamo di nuovo all’ufficio delle Guide, accolti
da Alberto, detto “Il Signore del Vajolet”.
I ragazzi lo seguono con
reverenziale ammirazione, mentre io e Daniele ci appostiamo, stile paparazzi,
al passo Santner a fotografarli.
Il
programma sarebbe il classico Spigolo Piaz della Torre Delago, ma “Il Signore
del Vajolet non sta in coda sulle proprie montagne!”
Ci sono già altre 4 cordate su quella via: “Sono il Signore di queste torri, posso controllare quasi tutto, ma non i sassi che altri ti fanno cadere in testa”.
Attaccano quindi il Diedro Fehrmann della Torre Stabeler: noi li teniamo d’occhio mentre avanzano sul lunghissimo camino e attrezzano le soste su cenge sospese come nidi d’aquila.
Nadia e Carlo, che hanno inevitabilmente preso qualche gene da me, ascoltano, diligenti e concentrati, obbediscono, a volte sorridono, raramente parlano, mai con gli sconosciuti.
Ci sono già altre 4 cordate su quella via: “Sono il Signore di queste torri, posso controllare quasi tutto, ma non i sassi che altri ti fanno cadere in testa”.
Attaccano quindi il Diedro Fehrmann della Torre Stabeler: noi li teniamo d’occhio mentre avanzano sul lunghissimo camino e attrezzano le soste su cenge sospese come nidi d’aquila.
Nadia e Carlo, che hanno inevitabilmente preso qualche gene da me, ascoltano, diligenti e concentrati, obbediscono, a volte sorridono, raramente parlano, mai con gli sconosciuti.
Alberto
sdrammatizza: “Ci deve essere un gran silenzio a casa vostra”.
“No, ci sono gli aerei”, risponde Carlo, educato e razionale.
In
parete però si intendono alla perfezione: “Inutile parlare, tanto non ci si
sente. Ascoltate la corda”.
“Nadia,
che corda vuoi? Rossa o blu?”
“È
uguale”
“No,
no, fai bene la tua scelta, perché una tiene e l’altra no, ma non mi ricordo
quale”
“Mi
pare che il nodo fosse così..boh.. al massimo arrivate giù più in fretta!”
Arrivati in cima, Alberto, da gran gentleman, si mette di lato per lasciare a Nadia l’onore di inaugurare la vetta.
Poi, facendosi il prusik: “Questo lo faccio solo io che sono il primo di cordata. Per voi non è necessario. Troppe sicurezze sono dannose. C’è chi vuole averla sempre vinta, ma bisogna pur lasciare qualche chance alla montagna! Tanto siete leggeri: forse potete persino lasciare le mani e state su lo stesso, forse no, vedremo".
Estasiati, si calano alla base.
Appassionato e generoso, Il Signore del Vajolet propone di bissare il battesimo della roccia: la Delago si è liberata e attaccano ora lo spigolo Piaz. “Una lama con un vuoto immenso tutto intorno”, dirà Nadia.
Siamo sempre più orgogliosi.
Arrivati in vetta si imbattono in tre alpinisti, bloccati da 45 minuti all’anello della prima doppia.
Con imperturbabile serenità torna da Carlo e Nadia: partono uno alla volta in corda doppia con due lunghissime calate da 60 m.
Un interminabile tuffo nel vuoto. I ragazzi restano raggianti per giorni.
Pieni
di adrenalina, non sentono la stanchezza; docce sul camper e siamo in strada.
Amici ci aspettano per una pizza a Corvara. Amici! Umani! perché lei era una mia compagna di scuola in prima elementare, per cui è passato abbastanza tempo
perché le distanze si potessero accorciare. Passiamo una bellissima serata e ci
addormentiamo al Passo Gardena con la testa piena di sogni.
Riempiamo
un paio di giorni grigi spostandoci al Camping Colfosco per le doverose
incombenze del camperista, tra bucato e serbatoi. Passeggiamo per Corvara,
saliamo tra le nuvole al Sassongher e ci concediamo una lunga pennichella in
camper cullati da un temporale scrosciante, finché torna il sereno.
Inforchiamo le bici: dal Passo Sella un sentiero interamente ciclabile (e il provvidenziale aiuto della funivia) permettono di circumnavigare Sassolungo e Sassopiatto.
La salita al Passo Duron è al limite delle mie possibilità (anzi oltre, visto che a tratti scendo e spingo a mano), ma la vista dello Sciliar e gli innumerevoli scorci ripagano ampiamente!


Inforchiamo le bici: dal Passo Sella un sentiero interamente ciclabile (e il provvidenziale aiuto della funivia) permettono di circumnavigare Sassolungo e Sassopiatto.
La salita al Passo Duron è al limite delle mie possibilità (anzi oltre, visto che a tratti scendo e spingo a mano), ma la vista dello Sciliar e gli innumerevoli scorci ripagano ampiamente!
Non c’è una nuvola in cielo, l’arrampicata è lunga ed aerea, la vista in vetta si apre su un altopiano desertico, macchiato qua e là da chiazze di neve sulle quali si affollano camosci alla ricerca di acqua.
Attraversiamo l’altopiano, passiamo dal Boè e scendiamo per il canalone, imbattendoci in una serie di cascatelle, che creano cristalline freschissime piscine naturali: è un mondo perfetto.
Qui c’è la “mia” ferrata: la Ferrata Olivieri che arriva alla Punta Anna sulla Tofana di Mezzo.
La roccia è salda, gradinata, ben frastagliata e ricca di appigli. È la ferrata più facile che facciamo e forse anche per questo la più divertente. Si attacca dalla parete est del costone per poi sbucare sullo spigolo.
Si alternano canalini orizzontali, pareti verticali, qualche placca inclinata e persino un diedro, fino al Dos De Tofana (2850m) e quindi per il sentiero attrezzato Olivieri di ritorno al Rifugio Duca D’Aosta.
Giocando
a stilare la classifica delle gite più belle, ci addormentiamo al Passo Giau
con i massicci rossi a 360° intorno a noi.
Decidiamo
di concederci una pausa dalle escursioni e andare a fare i turisti al Lago di Braies.
Qualche km prima del lago troviamo la strada chiusa, traffico in entrambi i
sensi di marcia e vigili che deviano forzatamente le auto. Tentiamo il Lago di
Dobbiaco pensando di raggiungere poi il Braies in bici, ma il campeggio è pieno
e non ci sono parcheggi liberi. Ci dirigiamo al Lago di Landro, dove abbiamo
letto di alcune falesie interessanti dove si potrebbe tirar sera in attesa che
il traffico si diradi: ingorghi bestiali, gente ovunque e divieti di camper ad
ogni slargo. Rinunciamo definitivamente al Lago di Braies per spostarci a
Misurina. L’area sosta è piena, ma c’è posto in campeggio. Ci stiamo facendo
un pensierino, quando due macchine si incastrano nelle manovre con 3 pullman
che scendono dalla stretta strada dell’Auronzo. Su uno di questi ci sono gli
striscioni del “Jova Beach Party – Plan De Corones – 24.08.19” ..domani!! Ci
guardiamo ammutoliti. Che coincidenza assurda. Gli assembramenti umani mi
inquietano anche negli stadi o nelle discoteche. In montagna sono una pugnalata
al cuore.
Invertiamo direzione senza fiatare e ci fermiamo solo quando sentiamo
di aver messo una distanza di sicurezza sufficiente tra noi e il caos. Siamo a
San Martino di Castrozza.
L’area
sosta appena fuori dal paese, immersa nel verde, con il bosco alle spalle e le
Pale rosse di fronte, infuocate dal tramonto, ci apre il cuore.

Al mattino prepariamo le bici: questa volta però niente impianti, non si bara, solo gambe!
Pedaliamo tra i ghiaioni ai piedi delle Pale di San Martino, facendoci strada
tra le mucche, perfino qualcuna scozzese, nella splendida Val Venegia fino alla
Baita Segantini (dedicata al pittore di Arco), che di fatti si staglia sullo
sfondo delle Pale, riflettendosi insieme nel laghetto a sembrare proprio un
dipinto.

All’ufficio turistico ci danno indicazioni per le placche della falesia Fiamme Gialle, che si raggiungono in pochi minuti dal Passo Rolle, al cospetto del Cimon della Pala. Sono una trentina di vie, ma solo 3-4 “affrontabili” da noi. D’altra parte, questa è la terra di Manolo! È già un’emozione toccare questa roccia.
Al mattino prepariamo le bici: questa volta però niente impianti, non si bara, solo gambe!
All’ufficio turistico ci danno indicazioni per le placche della falesia Fiamme Gialle, che si raggiungono in pochi minuti dal Passo Rolle, al cospetto del Cimon della Pala. Sono una trentina di vie, ma solo 3-4 “affrontabili” da noi. D’altra parte, questa è la terra di Manolo! È già un’emozione toccare questa roccia.
Nadia si lavora da prima un 6a di pura placca con nostra profonda ammirazione, ma sul secondo 6a (“Lo Spuppolement”) sia lei che Daniele si incartano. La pioggia arriva ad interrompere i nostri tentativi e ci tiene compagnia anche il giorno successivo.
Non
ci resta che riposare! Andiamo a zonzo alla scoperta di angoli inconsueti fuori
dai circuiti tradizionali.
La Lonely Planet descrive la Val Canali come una “incantevole
valle chiusa, alle pendici del Sass Maor e del Sass d’Ortiga. Un luogo magico,
controllato dagli onirici ruderi di Castelpietra, fortificazione Medievale
costruita su un enorme masso erratico allo sbocco della valle”. L’idea ci
attira ed è proprio come descritta. Lasciata Castelpietra, d’improvviso si apre
un piano erboso con la spettacolare Villa Welsperg, sede del Parco Naturale di
Paneveggio.
Il centro visitatori racchiude un tesoro: pannelli su flora, fauna
e geologia del parco, una sterminata biblioteca sulla montagna e soprattutto
una serie di particolarissime collezioni. La xiloteca, la sementoteca, la
fisioteca, la litoteca… piume e nidi scrupolosamente catalogati, pesantissimi
libri in pietra e altri in legno, che illustrano, con bassorilievi realizzati a
mano e il dorso in corteccia, foglie e forma di ogni albero del Trentino-Alto Adige.
Ci sdraiamo al sole tra le mucche, contemplando il Lago di Calaita, stentando a credere che agosto possa essere così quieto.
I giorni stanno finendo, ma abbiamo tempo per un’ultima ferrata. Il libro
del nonno la descrive come “la via più bella delle Pale e la seconda più bella delle Dolomiti". Il sentiero parte dalla stazione a monte dell’ovovia
Colverde, che apre alle 8:10. Ce ne facciamo una ragione: ci tocca dormire fino
alle 7:00.
Un breve avvicinamento e quindi la straordinaria ferrata Bolver Lugli: lunghe pareti vertiginose a picco sulla vallata, passaggi tecnici e divertenti, canalini e fessure.
Dal Bivacco Fiamme Gialle (3.000m), all’uscita della ferrata, mancano meno di 200 m alla cima Vezzana, la cima più alta: siamo sul tetto delle Pale.
Da lì si scende lungo la selvaggia Valle dei Cantoni, dove restiamo a lungo incantati di fronte a cuccioli di stambecco, che si rincorrono spingendosi a vicenda per i ghiaioni. Sembrano bambini che giocano. Quando riusciamo a staccarci da quesa visione da favola, ci troviamo di fronte lo straordinario Altopiano delle Pale.
“Sono pietre o sono nuvole? Sono vere oppure è un sogno?” diceva Dino Buzzati per descrivere questo altopiano lunare, che gli ispirò il Deserto dei Tartari. Da qui la somiglianza è palpabile.
È diventata una questione di principio.
Decidiamo che vale tutto, compreso allungare qualche rinvio e tanti resting.
Finalmente lo “Spuppolament” è conquistato. Io e Carlo lo ripetiamo da secondi
per sentirci partecipi dell’impresa. Possiamo riprendere la strada: il nostro
destino in questa falesia per sognatori è compiuto.
Cominciamo
a dirigerci verso ovest, dormiamo al Passo Lavazè e proseguiamo verso Aldino.
Alle Gole di Bletterbach, ottavo sistema dolomitico riconosciuto dall’Unesco,
l’erosione ha creato il “Grand Canyon italiano”.
Lungo 8 km e profondo 400 m,
permette di osservare la stratificazione geologica sulla quale abbiamo
camminato in queste settimane. Dal porfido alla dolomia, passando per
l’arenaria. Le diverse formazioni rocciose sono così ben spiegate nel centro
visitatori, che risultano facilmente identificabili anche da noi. Da roccia a
sabbia con l’erosione e poi di nuovo da sabbia a roccia con sedimentazione e
pressione.
Scopriamo impronte fossilizzate di un gasteropode; l’evidente linea
di confine nelle formazioni rocciose tra Permiano e Triassico, segno del
passaggio tra Paleozoico e Mesozoico; colorazioni diverse di Werfen ad indicare
fasi alterne di invasione e ritiro del mare e infine la vetta del Corno Bianco
costituita da “giovane” dolomia, nata dalla sedimentazione di alghe calcaree su
basso fondo marino e successiva alta pressione ..perchè 240 milioni di anni fa
le Dolomiti erano una costa tropicale, 10 gradi sopra l’equatore, a livello del
mare!

L’azione tettonica le ha lentamente portate al loro attuale posto e i ghiacciai hanno aggiunto gli ultimi ritocchi erodendo le vaste vallate, in modo che le potessimo contemplare come sono oggi. Anche i sassi a volte possono emanare un gran fascino.
L’azione tettonica le ha lentamente portate al loro attuale posto e i ghiacciai hanno aggiunto gli ultimi ritocchi erodendo le vaste vallate, in modo che le potessimo contemplare come sono oggi. Anche i sassi a volte possono emanare un gran fascino.
Per rientrare gradualmente alla civiltà, facciamo tappa a Merano. Ci vestiamo da cittadini e andiamo a spasso lungo la via dei Portici, il Duomo, la zona medievale, Porta Passiria, il sentiero della principessa Sissi... con un pic nic finale lungo il fiume. Inutile dire che anche Merano è bellissima!
Convinti di aver trascorso 3 settimane in un mondo incantato, dove ogni angolo è una rivelazione, ripensiamo alle parole del Signore del Vajolet: “Ho scalato le montagne di tutto il mondo, ma come le Dolomiti non ne ho mai trovate!”
Ormai è una certezza: il “Mal di Dolomiti” esiste e ci ha contagiato!
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