UNA TENDA, DUE ZAINI
E UN TRILIONE DI STELLE
“Cos’hai da fare, mamma, questo weekend?”
“La spesa ..
pulire i bagni... stirare..”
“Allora sei
libera! Ti porto a fare un’avventura!”
Carlo ammetterà in seguito
che, avendo io in programma un piccolo intervento al piede la settimana
successiva, temeva che potesse essere la mia ultima occasione per camminare.
(Invece è andato tutto bene).
La giornata è grigia. Il cielo minaccia pioggia ma le previsioni per la notte sono buone. Seguo diligentemente le sue istruzioni per selezionare lo stretto indispensabile, che già così assume – steso sul pavimento della camera – un aspetto inquietante.
Per misteriose leggi della fisica, arrotolando ed
incastrando con cura calzamaglia, maglia termica e calze di cambio, materassino
gonfiabile, sacco a pelo, cappellino di lana, scaldacollo, guscio, piumino e borracce, riusciamo ad infilare negli zaini un equipaggiamento di volume complessivo apparentemente superiore al volume dello zaino stesso. Con una iniqua (ma
efficace) suddivisione dei pesi, la tenda, il fornelletto, la bombola del gas, un paio di
litri supplementari di acqua e tutto il cibo finiscono nello zaino di Carlo.
Si parte. Destinazione Patagonia? Nanga Parbat? Himalaya? No, per la nostra avventura basta l'incanto della Catena Orobica!
Arriviamo a Foppolo con calma e appena parcheggiamo comincia a piovigginare. Temporeggiamo bevendo un caffè al bar ma nulla fa sperare in una schiarita. Tanto vale infilare il guscio e partire. Inviamo un ultimo whatsapp a casa dando la nostra posizione e spegniamo i celluari: meglio preservare la batteria in caso di necessità. Per una sola notte abbiamo giudicato superfluo portare il peso aggiuntivo di battery bank o pannellino solare: ogni grammo in spalla conta e si sente.
Assorbiamo umidità un passo alla volta, salendo lentamente la dorsale erbosa di Montebello. La meta è il Lago Moro, ma raggiunto questo pianoro incastonato in una conca ci rendiamo conto che per veder sorgere il sole (ammesso che le previsioni non sbaglino e le nuvole si diradino), domani mattina dovremmo aspettare almeno le 9:00, per dare ai raggi il tempo di fare capolino da dietro le montagne. Mentre mi siedo a prendere fiato, con la scusa di tenere d’occhio gli zaini, Carlo, alleggerito, corre verso un colle alla nostra destra, torna giù sconsolato, non c’è nemmeno un metro quadro di terreno pianeggiante riferisce, riparte di corsa verso sinistra, segue la cresta, raggiunge il Passo di Valcervia e torna vittorioso: ha identificato uno spiazzo che sembra fatto apposta per la tenda!
Mi convince che è meglio una notte in quota, forse più ventosa ma più breve: l’alba illuminerà (e scalderà) la cengia prima della valle. Riprendere il cammino significa lasciarci alle spalle il lago, unica fonte di acqua sul percorso per lavarci e cucinare. Considerando il freddo, l’idea di evitare la toeletta serale non mi sembra grave. Carlo ha con sè una cannuccia filtrante per “potabilizzare” l’acqua, ma anche 3 borracce piene nello zaino. Siamo a due passi dalla civiltà, in riva ad un lago preso d’assalto dalle comitive nei weekend estivi. I minuscoli filtri antibatterici della cannuccia mi lasciano perplessa. Optiamo per farci bastare le borracce e senza ulteriori indugi riprendiamo il cammino.
Al colle soffia un vento gonfio che fa precipitare le temperature. Tra teli svolazzanti e paletti
che rotolano, Carlo acchiappa e assembla le parti con destrezza da boyscout e in un
attimo la tenda è tesa solida, ed io, senza togliere i guanti (riscaldati!), mi ci infilo. Devo cimentarmi con astuzia nel regolare le
batterie dei guanti, se voglio che durino nelle ore più fredde della notte. Carlo
si cimenta invece nel contrastare le raffiche, sempre più frizzanti, aggirandosi ai quattro lati della
tenda, con il fornelletto in mano, nel tentativo di non far spegnere la fiamma.
“Mamma, hai fame? A che ora vuoi mangiare? Siediti sul materassino che ti isola meglio. Hai messo il secondo paio di calze? Infilati nel sacco a pelo se hai freddo, cucino io.”
Avvolta nel sacco a pelo da alpinismo estremo, l’apertura della tenda incornicia un bianco denso impenetrabile, che azzera qualsiasi riferimento. Potrei trovarmi ovunque, ma non c’è altro posto al mondo dove preferirei essere. Ora dall’apertura intravedo anche le mani di Carlo che cercano di proteggere la debole fiammella. Si è rassegnato a cucinare sotto l’abside, con estrema cautela per il pericolo di avvicinare fuoco e nylon. “Se no non bolle più!”
Sarà la location d’eccezione, sarà la privilegiata compagnia di un figlio ventenne per una sera “tutto mio”, senza nemmeno la distrazione di un cellulare; i fusilli alla carbonara sono squisiti, la mousse di frutta dolcissima. Le premure di Carlo perchè vada tutto per il meglio, che la pasta sia buona, che la tenda sia in piano, che l’acqua sia sufficiente, mi fanno scoppiare il cuore di commozione. Come si può spiegare tutto questo a parole?
Sono al riparo
dal vento, con un piatto caldo in mano e una crostatina per dessert, l’acqua è
bastata per cucinare ed è avanzata una bottiglia piena a testa; non soffriremo nè fame nè sete e ho un
materassino che mi protegge dal terreno sconnesso, guanti e cappello per
affrontare la notte. L’essenziale c’è.
Ho un prato generoso che
mi ospita, tutta l’aria del mondo da respirare, la libertà di scegliere dove
sdraiarmi, se giocare coi fili d’erba o restare in ascolto del vento, ho quei
dolorini buoni ai muscoli che aiutano a dormire, ho la compagnia di un ragazzo
meraviglioso. Altro che l’essenziale, ho il tutto. E’ un momento di vita che ne
vale un milione.
“Al lago avremmo
potuto sciacquare le stoviglie. Qui eviterei di sprecare acqua potabile.”
Sacrifichiamo una
fetta di pancarrè (tra quelle destinate alla colazione, con uno strappo alla scrupolosa
pianificazione che governa ogni vera spedizione) per fare un'accurata scarpetta. La colazione
al massimo sarà vagamente insaporita dall’aroma di pancetta.
Poi arriva la
notte. Fredda e sempre più ventosa. Con le spalle indolenzite dalla posizione,
l’impossibilità a rigirarmi immobilizzata nel sacco a pelo a mummia, pena il
rischio di cascare fuori dal materassino largo appena 50cm, il fiato soffocato dallo scaldacollo tirato su fino agli occhi, non riesco a smettere di
sorridere. E’ il sorriso dell’anima, perchè mentre il corpo affronta questi lievi disagi fisici, lei saggiamente sa di essere in un raro stato di
benessere totale. Condividere avventure con una persona su cui si sa di poter
contare al 100% è un’esperienza potente.
Tenuta sveglia dagli
sconfinamenti esistenziali dei pensieri, mi accorgo che mi scappa la pipì. E’
in questi momenti che si dimostra il carattere, mi dico. Raccolgo tutta la mia
determinazione e forza di volontà e striscio eroicamente fuori dal sacco a pelo. Bruscamente schiaffeggiata dall'aria a -5°C mi ritrovo fuori dalla tenda. Il fuori non è mai stato così reale. Sono al centro di una
cupola celeste che mi abbraccia e abbaglia. Miliardi di puntini luminosi a
tapezzare il cielo; sagome delle montagne a completare la scenografia, e io sul
palco di questo teatro, stordita dall’immensità che mi tende la mano. Ci tende la mano!
Devo svegliare Carlo! Le nuvole sono svanite, il vento si è calmato. Carlo, presto
vieni corri guarda! La felicità è monca se non è condivisa.
Stai calma, le
stelle non scappano.
Dici davvero? Tanta
bellezza può essere perfino duratura?
Prendiamo la
GoPro e cominciamo a giocare. Gira la testa o sono le stelle che girano o siamo
noi in cima al mondo, anzi al suo epicentro, coreografi sul palco orientiamo le frontali per inquadrare a turno gli attori, e le stelle ci cadono addosso, le ho tra i capelli, sulle mani, o sono le luci dei miei guanti riscaldati? o è il mio
amore per te. Se saltassi potrei toccarle, potrei correre da un versante all’altro,
rotolarmi giù per i pendii, non mi sono mai sentita così parte dell’universo.
Quando cala l’adrenalina, il freddo pungente torna a farsi sentire e ci re-infiliamo nella
tenda per la seconda metà di questa notte magica. Chiudi la porta che
io appendo le giacche in anticamera, e non importa se non c’è porta e non c’è anticamera; le nostre
anime continuano a ridersela di gusto. Sei andata in bagno? Non ho sentito lo sciacquone. E ora respira a pieni polmoni quest’aria che arriva dritta dritta dalla luna, una
boccata svuota la mente, due boccate e puoi volare.
L’alba arriva alle 7 del mattino, riempiendo la nostra casetta di raggi luminosi e teipidi. Quando apro gli occhi, Carlo è già intento a maneggiare il fornelletto. Dal suo zaino estrae, stile borsa di Mary Poppins, un’intera confezione di biscotti Ringo! Li ha portati di nascosto per farmi una sorpresa, perchè tutto in questo weekend sia perfetto.
Mi aspettavo una tipica colazione da campeggio libero: the e fette biscottate, eventualmente con monodosi di marmellata, ma lui sa che ho un debole per latte, nesquick e cereali. Scioglie nell’acqua bollente due dosi di polvere di proteine al gusto di cacao e ci sbriciola dentro un paio di barrette di frutta secca.
Ecco mamma, il
tuo quasi latte con il quasi Nesquick e quasi cereali.
Il retrogusto di
pancetta non si sente per nulla.
Prima che salgano
dalla valle gli escursionisti più mattinieri, abbiamo già smontato la tenda e
ricomposto gli zaini. La giornata è mite e la cima che ha vegliato su di noi
tutta notte ci invita ad andarla a trovare. I nostri zaini da grande escursione
fanno sorridere le famigliole con bambini al seguito partiti da Foppolo poco fa, leggeri leggeri, per la passeggiata domenicale e noi speriamo che leggano
nei nostri occhi l’emozione di aver fatto parte del cosmo per un istante.
L'incontro con caprette, cani ed esseri umani alla croce del Corno Stella (2.621m) ci riavvicina piano piano alla civiltà, diluendo il trauma del rientro. Panini e bibite a Branzi ci riconciliano ulteriormente con i lussi del progresso, ma l’unica vera motivazione per voler tornare a casa è poter raccontare a Nadia e Daniele quello che abbiamo vissuto.
Anche se sappiamo che per esprimere a fondo certe cose le parole non bastano.
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